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Improvvisazione | Perché dedicare tempo ed energie ad una pratica musicale inclassificabile, marginale e controproducente in termini professionistici.

Liner notes per la pubblicazione "Piccola orchestra artigianale degli improvvisatori di Valdapozzo" - Stella Nera

Nicola Guazzaloca, 2016

 

 

Attraverso l’improvvisazione, o per meglio dire la musica improvvisata, sono venuto a contatto con modi diversi di pensare, di vedere e di immaginare. Li ho potuti sperimentare, provare, ho suonato con persone che venivano da posti lontani, a mia volta ho viaggiato ed ero io il musicista che arrivava da lontano. È stata la porta aperta che ho incontrato sulla soglia di diverse culture, mi ha permesso di riconoscermi e anche disconoscermi, di sfuggire a classificazioni che vorrebbero definirci prima ancora che si possa sviluppare una coscienza.

L’improvvisazione è una pratica svolta spesso collettivamente, un insieme di azioni e reazioni sonore conseguenti, a volte simultanee, rispetto alle quali occorre prendere le proprie decisioni e attuarle in relazione al contesto. Si può improvvisare senza concordare nulla, oppure si può predefinire un percorso, una sequenza, si possono interpretare dei segni, dei colori, delle storie che costituiscano un riferimento comune. Tutti possono essere in grado di farlo: la tecnica e il linguaggio si formano secondo le possibilità di ciascuno, nella relazione con gli altri.

Nella mia esperienza didattica presso la Scuola popolare di musica Ivan Illich a Bologna conduco dal 2007 diversi gruppi aperti a musicisti (e non) di ogni livello, età ed esperienza; chi è all’inizio dei propri studi musicali può quindi suonare da subito e confrontarsi con musicisti più esperti, apprendendo dalla propria e altrui esperienza e mettendo in gioco le proprie idee, a volte ingenue e libere da saperi condizionanti. Parallelamente, negli ultimi anni sono stato invitato a tenere seminari per gli allievi di diversi conservatori e la loro tecnica di buon livello si è rivelata non essenziale, a volte addirittura limitante nell’operare in senso creativo. Non intendo sostenere che per improvvisare si debba escludere la preparazione accademica, ma credo che si debbano sviluppare capacità immaginative e intuitive che forse non vengono sufficientemente foraggiate in ambiti dove prevale la conservazione e la riproposizione di modelli storicizzati.

La SPM Ivan Illich ha costituito per me il principale contesto di pratica e autoformazione didattica, oltre ad essere un luogo di socialità, scambio e sperimentazione. La scuola nasce nel 1992 nell’ambito delle occupazioni che animarono Bologna insieme al movimento della Pantera, per diretta volontà di alcuni musicisti e studenti che intendevano costituire un’alternativa ai percorsi di studio istituzionali, basata sugli scopi per cui il collettivo si costituì poi in associazione culturale: la promozione ed attuazione di ricerca sulla didattica e sulla produzione musicale fondate sulla libertà di espressione e il rispetto dell'individuo, la valorizzazione di una cultura musicale di base, non specialistica, non accademica, non commerciale, non autoritaria ma piuttosto fondata su momenti di reciproco scambio e confronto prediligendo e stimolando le situazioni collettive, l’apertura a tutte le fasce di età, la valorizzazione della diversità tramite l'interazione degli individui con particolare riferimento alle fasce di marginalità sociale, il contributo alla crescita culturale e civile degli individui e del territorio. Credo sia importante testimoniare il percorso di un organismo culturale che ha purtroppo ben pochi termini di paragone, e certo non si può dire che sia facile.

Ma possiamo dire che è possibile.

Perché dedicare tempo ed energie ad una pratica musicale inclassificabile, marginale e controproducente in termini professionistici? Intanto, mi sembra che il professionismo non sia necessariamente un valore positivo se le nostre scelte, le nostre idee, sono limitate e indotte dalle regole di un mercato ben lontano dalla visione che ho cercato di comunicare. Sono convinto che la musica debba essere libera e che libere debbano essere le idee. Ricordo le filastrocche alla rovescia di Gianni Rodari, con le quali mostrava che molte delle cose in cui crediamo si possono reinventare, per guardare diversamente alla realtà. La realtà è soprattutto immaginata: si inventano motivi, significati e valori astratti, che originano culture e visioni differenti. Questi valori, queste idee, incidono nella nostra vita e la regolano in modo concreto e forse un piccolo esercizio di rivoluzione musicale potrebbe cambiare qualcosa nei modi di vedere, di pensare, nel mondo che innanzi tutto abbiamo in testa.

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